
Quando gioca la Nazionale, siamo tutti allenatori.
Durante le elezioni USA, ci trasformiamo in esperti di geopolitica.
Con il Covid, ci siamo divisi in virologi da tastiera ed epidemiologi da bar.
Benvenuti nell’era del tuttologo digitale.
Oggi, informarsi è più facile che mai. Ma capire davvero è tutta un’altra storia.
L’informazione ai tempi dell’algoritmo
Secondo il Reuters Institute e l’Università di Oxford, il 76% degli italiani si informa online. Di questi, il 21% lo fa principalmente sui social: Facebook (50%), WhatsApp (30%), YouTube (20%) e Instagram (15%).
Non sorprende, quindi, che gli influencer siano ritenuti affidabili più degli esperti: secondo Nielsen, il loro indice di credibilità arriva all’83% quando parlano di temi sociali.
Nel 2020, oltre 110.000 post pubblici di influencer italiani hanno trattato tematiche sociali (+35% in un anno, senza contare le storie).
Ora capisci perché tanti ragazzi vogliono “fare l’influencer da grandi”? In un colpo solo: comunicatori, imprenditori, opinionisti, giornalisti e… politici.
Ma dov’è finita la competenza?
Il punto non è demonizzare chi comunica, ma riabilitare il valore di chi studia. Perché la competenza non si improvvisa.
Negli ultimi 50 anni, il numero dei “competenti” (medici, ingegneri, giornalisti, ecc.) è cresciuto costantemente. Ma mentre la competenza cresce in modo lineare, la quantità di conoscenza e dati disponibili cresce in modo esponenziale.
Questo crea un problema:
più informazioni → più specializzazioni → più frammentazione → più difficile riconoscere chi sa davvero di cosa sta parlando.
Il paradosso dell’iper-specializzazione
La tecnologia aumenta la nostra capacità di produrre e diffondere dati. Ma nessuno può stare al passo con tutto.
Nasce così il fenomeno del rendimento decrescente delle competenze: a un certo punto, l’aumento delle informazioni disponibili non corrisponde a un incremento utile di competenza.
E allora cosa succede?
Lo vediamo in ogni campo: anche il social media manager non può più gestire tutto. Ogni piattaforma ha il suo linguaggio, il suo algoritmo, il suo pubblico.
La complessità cresce. Ma la percezione… si semplifica.
E così l’opinione di chi “si informa su Instagram” vale quanto quella di chi ha studiato una vita.

Dalla conoscenza all’informazione istantanea
Dal 2007 – anno di nascita dello smartphone – siamo diventati sempre connessi.
La Rete ci ha dato accesso a una mole di conoscenza prima impensabile. Ma ci ha anche abituati alla velocità.
Abbiamo perso il gusto della profondità. Comunichiamo più di quanto riusciamo ad ascoltare.
E, come diceva già Al Ries nel 1980:
“Nell’era della comunicazione, niente è più importante del comunicare.”
Oggi, tra fake news, populismi e negazionismi, questa velocità – senza filtro – rischia di diventare un boomerang.
Quando “uno vale uno” diventa un problema
I social hanno dato voce a tutti. Ed è giusto così.
Ma attenzione: non tutte le voci hanno lo stesso peso, soprattutto quando si parla di temi complessi.
Trovare soluzioni richiede tempo, studio, competenza. Ma il web premia la risposta più veloce, non quella più corretta.
E quando la fiducia nei competenti crolla, il sistema si inceppa. Il rischio?
Che a guidare le scelte pubbliche siano i like, non le prove.
E quindi? Cosa possiamo fare?
Il ruolo dell’informazione – e di chi la fa – è oggi più cruciale che mai.
Sta a giornalisti, comunicatori, professionisti della conoscenza non cedere di un centimetro:
- Spiegare senza semplificare.
- Difendere il sapere, anche quando è scomodo.
- Ricordare che la competenza richiede fatica, dedizione, tempo.
Come scrive Aldo Di Russo:
“Mai prima del capitalismo dei social, uno strumento aveva avuto il potere di costruire – mattone dopo mattone – un mondo fatto di mediocrità condivisa, cancellando i nostri valori fondanti.”
Uno strumento che, se non usato con coscienza, può diventare una dittatura mascherata da democrazia. Una prigione comoda. E perfino amata.
In un’epoca in cui tutti parlano, chi sa davvero ha il dovere di farsi sentire.
Di alzare il livello. Di costruire un’informazione autorevole, chiara, utile.
Perché senza competenza, nessun sistema regge.
Nemmeno quello digitale.