Dalla conquista dei territori alla conquista dei dati: il nuovo colonialismo digitale

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Un tempo erano i Sumeri, i Fenici, i Greci. Poi vennero i Romani, affamati di espandere il proprio impero. E ancora dopo, i conquistadores: Spagna e Portogallo alla guida di navi, spade e croci, pronti a dominare il Nuovo Mondo. Sappiamo com’è andata: le civiltà indigene furono annientate, le ricchezze dei territori saccheggiate, le popolazioni sottomesse.

Oggi non ci sono più navi. Né eserciti in armatura. Ma la conquista continua. E i nuovi territori da colonizzare siamo… noi.

I padroni della Rete: i nuovi conquistatori

Niente spade, ma algoritmi. Nessun sangue, ma dati. Le nuove potenze non si contendono più terre o oro, ma informazioni personali. La posta in gioco non è un regno, ma 4,5 miliardi di esseri umani connessi.

Lo spiega bene Christopher Wylie – l’ex direttore della ricerca di Cambridge Analytica – nel suo parallelo tra il colonialismo di ieri e il data-colonialismo di oggi:
“Un tempo i colonizzatori venivano visti come semidei per la loro tecnologia superiore. Oggi accade lo stesso: veneriamo le Big Tech, ma sono semplicemente i nuovi conquistadores. Solo che questa volta gli indigeni… siamo noi.”

Cambridge Analytica: lo scandalo che ha acceso la miccia

Tutto è esploso con lo scandalo Facebook/Cambridge Analytica, quando venne rivelato l’uso illecito di dati personali per influenzare elezioni e referendum. Una manipolazione su scala globale. E da lì, l’opinione pubblica ha iniziato – lentamente – a svegliarsi. L’Europa ha reagito con l’introduzione del GDPR, ma il problema è ben lontano dall’essere risolto.

La verità è che non sappiamo quanti e quali nostri dati sono in possesso delle Big Tech. E quel che è peggio: non sappiamo come vengono usati.

Il dato non è più petrolio. È moneta.

In passato si diceva “data is the new oil”, ma oggi si va oltre. Il dato non è più solo da raffinare. È diventato valuta, moneta di scambio. Paghiamo app “gratuite” con i nostri gusti, le nostre abitudini, le nostre emozioni. In modo inconsapevole.

E se il denaro tradizionale è sempre stato al centro del capitalismo, ora si apre una nuova prospettiva: il capitale diventa dato.

Verso una nuova rivoluzione del mercato

Secondo Viktor Mayer-Schönberger, docente a Oxford, siamo alla vigilia di una nuova rivoluzione industriale:
“Oggi un numero ristretto di aziende gestisce i dati e quindi controlla i mercati. Il capitalismo sta mutando in una forma di economia pianificata.”

Una delle soluzioni? La condivisione progressiva dei dati, ovvero un modello in cui i dati vengono messi a disposizione in modo regolamentato, equo, condiviso. Un orizzonte ancora lontano, ma non irrealizzabile – soprattutto con il supporto della blockchain.

Alcuni esperimenti sono già in corso: ad esempio, la possibilità per gli utenti di scegliere se pagare con denaro o con dati per accedere a un contenuto digitale. Una rivoluzione di senso. Un nuovo valore dato alla trasparenza e alla fiducia.

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Dati, transizione e il rischio dell’intelligenza “non umana”

Il termine perfetto per descrivere la fase attuale? Transizione. Così la definisce Sergio Bellucci:

“Una transizione aggravata da una singolarità: per la prima volta, un’intelligenza non biologica potrebbe contendere all’intelligenza umana il controllo dei processi.”

Il 2006 segna uno spartiacque. Da quell’anno, la quantità di dati prodotta è cresciuta in modo vertiginoso. Eric Schmidt (ex CEO di Google) scriveva che l’intera umanità ha generato 5 exabyte di dati dall’inizio della civiltà al 2003.

Oggi? Ne produciamo ogni 2 giorni.

Certo, non tutta questa mole è conoscenza. Ci sono foto di gattini, TikTok di pizza, selfie e balletti. Ma anche una quantità sconfinata di informazioni sensibili, personali, che riguardano ciascuno di noi. Accumulate, incrociate, vendute. In tempo reale.

Non siamo di fronte solo a un cambiamento tecnologico. Ma a un cambio di paradigma. La nuova “colonizzazione” è invisibile, silenziosa, ma inarrestabile.

Per questo, come agenzia che si occupa di comunicazione digitale, sentiamo la responsabilità di raccontarlo. Di aprire gli occhi. Di promuovere un uso etico, consapevole e umano del digitale.

Perché il futuro non è scritto nei codici. Ma nelle scelte che facciamo ogni giorno, da questa parte dello schermo.