
Giovedì 3 e venerdì 4 Aprile, su invito di Daniele Rimini, sono stato all’Innovation Training Summit, a Roma. Un evento molto interessante, dedicato al mondo della formazione. Cosa mi ha colpito? Il fatto che ogni intervento abbia trattato il tema dell’Intelligenza Artificiale. In parte ero preparato, un po’ perchè avevo letto il programma, un po’ perchè l’AI è indubbiamente l’hype del momento. Ma così tanto e così approfonditamente non me lo aspettavo.
Ecco le mie personalissime “pillole” dal summit.
L’intelligenza artificiale non è solo un salto tecnologico, ma un cambio di paradigma culturale.
Negli ultimi dieci anni abbiamo parlato, spesso con entusiasmo e talvolta con fatica, di Digital Transformation. Oggi siamo ufficialmente entrati in una nuova fase: quella della AI Revolution. Un cambio di prospettiva (e di paradigma) che non riguarda solo la tecnologia, ma il modo in cui pensiamo, lavoriamo e prendiamo decisioni.
Cosa rende l’AI davvero disruptive?
Sono quattro le caratteristiche che hanno reso l’intelligenza artificiale una forza trasformativa senza precedenti:
- Velocità: di apprendimento, di elaborazione, di implementazione.
- Trasversalità: si applica a qualsiasi settore, dalla sanità alla manifattura, dal marketing alla giustizia.
- Accessibilità ai dati: mai nella storia dell’umanità abbiamo avuto così tanti dati, in tempo reale, a disposizione.
- Strumenti per l’analisi: la potenza di calcolo ed i nuovi strumenti a disposizione di tutti ci permettono oggi di comprendere i dati, non solo di collezionarli.
Ma c’è un punto cruciale: l’elaborazione dell’AI è probabilistica, non assoluta. Il suo output si basa su pattern statistici. Ed è qui che entra in gioco l’essere umano: non come centro del processo, ma come guida.
L’essere umano? Non al centro, ma alle estremità.
L’idea che “l’essere umano deve restare al centro può sembrare rassicurante, ma rischia di essere fuorviante”. Sono parole di Massimo Chiriatti, che ho apprezzato molto perchè coraggiose e controcorrente. Secondo Chiriatti la vera centralità umana si gioca in due fasi fondamentali:
- Input: nella formulazione delle domande, dei prompt, degli obiettivi.
- Output: nel giudizio critico, nell’etica, nell’interpretazione dei risultati.
La fase centrale, quella dell’elaborazione, è ormai territorio dell’AI. Non è più il nostro regno. E va bene così, a patto che sappiamo come entrarci e soprattutto come uscirne con consapevolezza.
Intelligenza Artificiale? No, Intelligenza Aumentata!
L’AI è (o dovrebbe essere) un partner conversazionale, non un sostituto del dipendente o del professionista. Un’estensione delle sue capacità di calcolo, memoria, previsione. Per questo a me piace pensare all’AI come a qualcosa che “aumenta” le mie capacità, non che le sostituisce. Se consideriamo che l’80% di tutte le attività lavorative sono routinarie e standardizzabili, è evidente che l’AI se ne occuperà sempre di più, è il suo campo d’applicazione, il posto in cui da il meglio di se! A noi resta il 20% più prezioso: pensiero critico, empatia, strategia, intelligenza emotiva.
Il rischio non è la velocità. È la mancanza di direzione.
Viviamo in un’epoca in cui il progresso è passato da lineare ad esponenziale. 30 passi lineari di 1 metro? 30 metri. 30 passi esponenziali, il primo di 1 metro? 27 volte il giro della Terra.
La vera domanda non è “quanto possiamo correre”, ma dove stiamo correndo. O meglio stiamo correndo nella direzione giusta?
Riportando tutto al campo aziendale, che è il settore che mi interessa di più, la sfida non è tanto implementare l’AI a tappeto. Quanto definire la direzione, stabilire un orientamento strategico che metta a frutto le potenzialità dell’AI senza perdere il senso di ciò che stiamo costruendo.